Happiness
“Le mie opere sono così superficiali! Se solo fossi stata stuprata da piccola!”
Quanta cattiveria artistica ci vuole per far pronunciare a qualcuno una battuta del genere? Una battuta che già da sola porta il film a un livello di grottesco black difficilmente uguagliabile, figuriamoci superabile. Qui siamo oltre la famiglia disfunzionale, roba che al confronto American beauty è una favoletta di Walt Disney. Parliamone.
Le tre sorelle: una scrittrice nerovestita egocentrica come una bambina di tre anni che parla sussurrando e soffre perché non soffre abbastanza. Un’aspirante cantautrice che si chiama Joy ma è uno dei personaggi più depressi e deprimenti della storia del cinema. Una moglie e mamma amorevole che non si accorge di dividere il tetto coniugale con un orrendo maniaco pedofilo.
Completano l’ameno quadretto genitori alle prese con crisi matrimoniali e flirt senili, figli crucciati per non aver ancora mai eiaculato, vicini di casa molestatori telefonici, solitudine, disperazione e psicofarmaci come fossero acqua fresca.
Vivamente, vivamente, vivamente sconsigliato a puri di cuore, fan di Amélie ed estimatori dello humor dalle tinte più vivaci del nero-notte senza luna.
Oh Joy, I’m not laughing at you, I’m laughing with you.
But I’m not laughing.
Happiness
Regia Todd Solondz
Anno 1998
Collega, e questo perché mi era sfuggito? Assolutamente mio, lo vedrò presto.
Presto presto, sì. è fulminante! (e la canzone… <3)