– Ho la sindrome Game Over.
Eravamo sdraiati a letto, schiena contro schiena, fuori era ancora buio, ma quasi ora di alzarsi per tutti e due che io me ne esco con quella frase.
Sentivo che era sveglia, il suo respiro circolare me lo diceva.
– Mi hai sentito? Lo so che sei sveglia, è una cosa seria, ho la sindrome Game Over.
Non è che lo avessi programmato, ma prima o poi il discorso andava affrontato.
– Dai è ancora presto, lasciami dormire ancora un pochino.
Allungo una mano e le carezzo la gamba, come a rassicurarla.
Lei si mette a sedere sul letto più spazientita che interessata.
– Ah sì? E sarebbe ‘sta sindrome?
– Hai presente i videogiochi di quando eravamo ragazzini? Bum! Game Over!
– Mmh… no, non capisco.
– Beh… alla fine del gioco, quando anche l’ultima vita era andata compariva la scritta Game Over.
– Sìì? Sai, noi ragazze non giocavamo tanto ai videogiochi, preferivamo guardare i ragazzi di terza.
Lo fa apposta a non voler capire? Vediamo di darle una mano.
– Non sto parlando di quando ero ragazzo, chiaro?
– Ok. Allora cosa riguarda?
– Sai, quando diventi abbastanza bravo con un videogioco dopo un po’ non pensi più a divertirti, ma pensi solo a fare il record, il record è tutto, è la tua fissa, così se una partita comincia male e ti accorgi che il record tanto non lo farai cerchi di chiuderla in fretta; insomma cerchi di morire il più velocemente possibile e far comparire la scritta Game Over per poter iniziare una nuova partita e ritentare il record.
Forse cominciava a capire, o almeno mi sembrava, adesso avevo tutta la sua attenzione, così sforzandosi di fare la spiritosa dice:
– A cosa ti riferisci esattamente? Parli forse della tua vita? Vuoi farla finita e rinascere migliore di come sei adesso? Ok, per me va bene, fai pure.
Evidentemente non aveva ancora capito, ma si stava avvicinando, taglio corto.
– Beh… no. Mi riferisco alla mia relazione con te.
La sveglia sul suo comodino suona.
Lei la guarda e con la mano la spinge lentamente verso il bordo fino a farla cadere.
Smette di suonare.
Riflette, poi parte.
– La mia relazione con te? Mi fa il verso, ma calcando stranamente la emme di mia
– Intendi dire la nostra relazione? Adesso prolunga la o di nostra.
– Parli della relazione che abbiamo da quattro anni e che ti ha portato nel mio letto e nella mia casa? Altre due emme.
Crede di mettermi all’angolo, ma basterà darle ragione, funzionerà… funziona sempre.
– Come vuoi, sì.
Ora è decisamente alterata e cammina su e giù per la stanza.
– Allora ho capito bene? Mi stai dicendo che ti sei reso conto che la nostra storia non porterà da nessuna parte e che vuoi farla finita per iniziarne un’altra? Che con me non farai il record?
– Beh… se la metti così sì, in fondo vado avanti per tentativi, come tutti, no?
– No un cazzo! Ti rendi conto di quello che dici, della tua… del tuo… no non può essere, non sta succedendo… non a me…
Si ferma, poi scatta e corre in bagno, la sento vomitare, così vado a vedere, accendo la luce della specchiera e mi fermo davanti a lei appoggiando un spalla alla parete con le braccia incrociate.
È bellissima mentre vomita e mi rende tutto più difficile.
– Tutto bene? Allora se per te non ci sono problemi resto fino a domenica poi vado.
E lei, tenendo la tazza del bagno tra le braccia e con un filo di muco che le cola dal naso, mi fa in sincro con lo sfarfallio del neon che fatica ad accendersi:
– E… e… e io?
– Tu non ti devi preoccupare di niente, è un problema mio, non capisco proprio come la cosa possa riguardarti.
Pit
ottime aspettative sul prosieguo